Odio social contro le donne: Maleducazione? No, razzismo sessista!
Capita che una donna impegnata in politica, Nadia Conticelli (capogruppo PD al Comune di Torino), esprima legittimamente una sua opinione. Capita che esponenti di altri partiti legittimamente non siano d’accordo. Hanno diritto di manifestare questo dissenso? Ovviamente sì, e anche in modo aspro se lo ritengono. Non hanno il diritto di insultarla in quanto donna e di augurare lo stupro a lei e alle sue figlie adolescenti.
Conticelli ha avuto il coraggio di denunciare ma, proprio alla vigilia dell’8 marzo di quest’anno, è arrivata la richiesta di archiviazione del procedimento in quanto quelle frasi sarebbero semplicemente “inurbane e molto maleducate”.
No, non ci stiamo. Non è questione di bon ton. Smettiamola con questa caricatura delle femministe puritane che si scandalizzano per qualche parola un po’ forte. Questa è barbarie, è quello che gli anglosassoni chiamano ‘hate speech’ (linguaggio d’odio), che ormai imperversa sui social e che si accanisce con speciale virulenza sulle donne e, in particolare, sulle donne che hanno un ruolo pubblico. Ne sono state colpite esponenti di ogni schieramento politico, da Rosy Bindi a Laura Boldrini a Lucia Azzolina a Giorgia Meloni.
Questo degrado deve finire. L’hate speech deve essere considerato un reato. Va posta una regolamentazione sui social con individuazione delle responsabilità personali. Ci permettiamo di dire che anche alla magistratura vanno fornite linee interpretative chiare e non indulgenti. E’ insultante che offese così gravi possano essere derubricate come goliardate, scherzi o, appunto, inurbanità.
Ricordiamo che la violenza e la molestia si definiscono tali secondo la percezione di chi le subisce. Come scrive Conticelli: “Una pioggia di nefandezze che ti si scarica addosso frugando in ciò che hai di più caro nella tua vita personale e ti fa sentire fragile, esposta”. Ecco: a questa ferita nel profondo non si può rispondere: “Io scherzavo”.
Nell’esprimere solidarietà alla consigliera comunale di Torino e a tutte le donne che sono incappate in questo reato ancora non riconosciuto, chiediamo alla politica e alla società civile di adoperarsi per individuare fattive soluzioni. Alle donne chiediamo di denunciare. Noi saremo sempre al loro fianco. E se non se la sentono, chiediamo almeno di parlarne e di non sentirsi in colpa: l’effetto perverso di questi linciaggi morali è di farci sentire quasi sporche, quasi in difetto. No, in difetto sono gli odiatori e chi non li condanna.
Arianna Franco (Segreteria CGIL Asti), Luisa Rasero (Coordinamento Donne CGIL Asti)