Donne Cgil Asti: Poche donne in consiglio comunale, questione di regole o di cultura?
Dopo l’insediamento del nuovo consiglio comunale di Asti, il coordinamento Donne Cgil Asti consegna al dibattito pubblico una riflessione sul peso della rappresentatività di genere:
Ringraziamo Elisa Pietragalla, già assessora alle Pari Opportunità del Comune di Asti, per la grande disponibilità e la collaborazione che abbiamo riscontrato nel quinquennio appena concluso. Auguriamo buon lavoro ad Eleonora Zollo, neo assessora ai Servizi Sociali a cui è stata conferita– tra le altre – anche la delega sulle Pari Opportunità, auspicando che abbia seguito il virtuoso rapporto con l’istituzione cittadina. Apprezziamo il buon equilibrio di genere della nuova giunta comunale, 4 donne e 5 uomini. Da questo punto di vista, riteniamo invece del tutto insoddisfacente la composizione del nuovo Consiglio Comunale, 27 uomini e 5 donne. L’85 % contro il 15 %. Un vero e proprio strabismo di genere, che comporterà inevitabilmente una minore completezza, uno sguardo più ristretto e meno inclusivo, con rischio di minor considerazione per le problematiche vissute dalle cittadine astigiane.
Ci chiediamo se non si possa addirittura parlare di un sostanziale vulnus al concetto stesso di democrazia rappresentativa, quando uno dei due generi è così violentemente sottorapresentato e l’altro così sovraesposto. E’ una carenza peraltro assolutamente trasversale a maggioranza e minoranza. Ed è la diretta conseguenza del voto legittimamente espresso, su questo non si discute. Le donne sono state poco votate da elettori ed elettrici. L’elettorato ovviamente ha sempre ragione ma ci permettiamo di osservare che, quando seleziona la sua classe politica, si mostra più arretrato di quello che la realtà comporta. Tanto per dire, sono molti gli uomini che affidano la loro salute a delle dottoresse o la cura dei loro affari a delle commercialiste o i loro genitori ad una badante. Chissà perché non si fidano di una consigliera comunale. E chissà perché le donne non apprezzano adeguatamente i vantaggi che deriverebbero da una loro maggior presenza nelle istituzioni, che renderebbe tutte quante più forti.
Alla luce di questi risultati, appaiono francamente surreali le polemiche che periodicamente si scatenano sulle quote o sulle regole di alternanza nelle preferenze. Se non ci fossero stati neanche questi correttivi, quale sarebbe stata la percentuale femminile in consiglio? O si ritiene che il 15 % sia adeguato? Magari persino un po’ troppo?
Con tutta evidenza queste regole si sono dimostrate assai carenti per raggiungere l’obiettivo che si prefiggevano. Se ne possono studiare di migliori, e andrà fatto. Si può soprattutto agire sulla cultura diffusa, a partire dalla cultura delle formazioni politiche, partiti o liste civiche oliste dei Sindaci che dir si voglia, che hanno messo – per obbligo – le donne nelle liste ma sudi esse non hanno investito. I candidati ‘importanti’ non erano le candidate, tranne le 5eccezioni a cui va tutto il nostro incoraggiamento.
E’ indicativo che mai una sindaca abbia varcato il portone del Palazzo del Municipio, e che anche in questa tornata elettorale non ci sia stata una donna tra le candidature che avevano una qualche concreta possibilità di riuscita. C’è un ulteriore elemento che ha penalizzato il genere femminile, è scomodo ma non vogliamo sottacerlo. Alcuni sistemi elettorali comportano candidati praticamente nominati dai partiti, e non va bene. Nel forse troppo lodato sistema elettorale vigente nei Comuni, il sindaco e i consiglieri (e le poche consigliere che ce la fanno) vengono eletti con libere preferenze. Tutto bene? Sì, ma non è un bello spettacolo la guerra selvaggia per le preferenze che ogni volta si scatena. In questo gioco di tutti contro tutti, anzi soprattutto di tutti contro tutte, anche e soprattutto all’interno della stessa lista, le donne sono penalizzate. Perché qui fa premio il marketing e la capacità di pubblicizzarsi, il saper proporre se stessi come si farebbe con un prodotto in commercio, la “piaciosità”, le rete di collettori di voti di cui si può disporre. Merito, competenza, capacità di lavoro, attitudine a risolvere problemi? Contano meno e, se non sono veicolati in modo efficace e secondo le regole della pubblicità, contano proprio poco. In questo sgomitare, in questo surplus di feroce autopromozione che viene richiesto, la maggioranza delle donne ci sta con disagio. Perché siamo meno aggressive? Ma no, è che ci annoiamo, ci sembra di spendere energie e risorse a fare tanto fumo, invece di rimboccarci lemaniche e proporre soluzioni. Citando la risposta ad un nostro questionario: non vogliamo ‘entrare nel tritacarne’ di un gioco sempre più autoreferenziale.
E’ indicativo di questa deriva iperpersonalistica che anche gli incarichi di giunta e annessi siano condizionati dalle preferenze, dall’indice di gradimento riscontrato nelle urne, persino per argomenti a forte contenuto tecnico. A mo’ di esempio: per redigere un bilancio dovrebbe contare il saper far di conto più che la simpatia riscossa, o no?
E poi si piange perché la politica diventa sempre più lontana dai cittadine e dalle cittadine, e cisi preoccupa per il calo vertiginoso della partecipazione alle tornate elettorali! Invece di pianti servirebbe una bella scossa di interesse genuino per il bene comune e di volontà di rendere tutti e tutte partecipi. Alle donne diciamo: se le regole di questo gioco sono sbagliate, impegniamoci per cambiarle. E’ un gioco serio, l’amministrazione di un Comune o di una Regione o di uno Stato condiziona la nostra vita, è affar nostro, di uomini e donne.